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Lampugnale (Confindustria: ”con Dazi a rischio 20% dell’export. Chiediamo revisione normative e Cbam”

(Adnkronos) – Dazi al 50% per l'acciaio europeo importato negli Stati Uniti. Una manovra che potrebbe ridurre l'export italiano del 20%. A lanciare l'allarme Pasquale Lampugnale, vicepresidente di Confindustria Piccola Industria e amministratore delegato di Sidersan, azienda beneventina attiva nel settore della prelavorazione dell'acciaio, intervistato dall'Adnkronos. Non sono solamente le nuove tariffe a rallentare il sistema industria, ma anche difficoltà interne legate a burocrazia, accesso al credito e concorrenza internazionale sempre più aggressiva. La fotografia del ceo di Sidersan mostra un sistema produttivo sotto forte pressione. Per riprendersi servono nuove strategie di trasformazione industriale, innovazione, semplificazione normativa e una forte valorizzazione del capitale umano.
 
Quali sono oggi le principali difficoltà per le Pmi italiane, anche alla luce dell’introduzione di nuovi dazi americani?
 I dazi annunciati da Donald Trump verso l'Europa sono un duro colpo all'esportazione. L'Italia è il secondo paese manifatturiero d'Europa, ha un valore di esportazioni pari a 650 miliardi, di cui 65 verso gli Stati Uniti. Questa tassa messa sui nostri prodotti italiani riduce potenzialmente fino al 20% l’export. È un duro colpo al pil e ai posti di lavoro. Si stima che possano essere a rischio fino 150 mila unità, dal nord, al centro e al sud del Paese. Non c'è un settore che venga esentato da questa problematica. In primis penso all'agroalimentare, ma anche al farmaceutico, all'automotive, a quello dei macchinari e ai metalli. È un duro colpo per le grandi e le piccole imprese che sono innestate nelle grandi filiere industriali, e che direttamente e indirettamente vivono anche di esportazione.  
Come si sta preparando il settore siderurgico a fronte di questa stretta protezionistica americana?
 In questo momento, le piccole medie imprese italiane della filiera siderurgica sono sotto pressione. Viviamo un contesto di sovra capacità produttiva di acciaio: l’Italia produce 20 milioni di tonnellate di acciaio, l'Europa 130 milioni e la Cina un miliardo. La stretta protezionistica degli Stati Uniti potrebbe in qualche modo ri-orientare parte della produzione cinese. Si parla di circa il 10% di export, dal valore di circa 7 miliardi, che potrebbe arrivare in Europa. Quindi la filiera siderurgica, che già vive un percorso di trasformazione e di pressione dovuta alla sostenibilità, vive questo momento con grandi difficoltà: viene ridotta la capacità competitiva e reddituale di tutte le imprese che devono anche combattere anche con tutte le norme che sono state imposte in esse dal legislatore europeo. Penso al Cbam, che è stato revisionato da poco, ma che di fatto in qualche modo è una tassa ingiusta per chi produce acciaio in Europa.  
Quali sono, secondo lei, le principali strategie che le aziende italiane devono adottare per affrontare la volatilità dei prezzi e la concorrenza internazionale?
 Credo che la strategia più giusta sia quella di un percorso che veda nella trasformazione e nella pre-lavorazione la via per un valore aggiunto. Parliamo di una commodity dove la parte tecnica, impianti e macchinari possono dare un grande contributo, facendo sì che il prodotto finale abbia un valore nella sua interezza. Dobbiamo lavorare per essere attori territoriali della filiera siderurgica che siano in connessione con il mondo delle costruzioni e con l'industria, cercando di dare un contributo allo sviluppo del settore. 
L’eccesso di capacità produttiva mondiale e l’importazione di acciaio a prezzi bassi sono tra le minacce principali. Quale risposta strategica si può dare?
 Le aziende della filiera siderurgica pagano, a tutti i livelli, un costo dell’energia superiore ai competitor, anche rispetto ai colleghi europei. Chiedono una riduzione delle normative e una revisione del Cbam. Viviamo un settore che è molto competitivo, per questo credo nella diversificazione e nel valore aggiunto che possiamo dare al prodotto finale. Guardiamo al futuro in affinché ci siano condizioni positive per gli input produttivi, ma, lato mercato, cerchiamo di capire come si muovono i nostri clienti, di cosa hanno bisogno e quindi fare sempre la differenza rispetto ai competitor. 
Quali strumenti possono favorire l’accesso al credito e il rafforzamento delle Pmi?
 Il rafforzamento patrimoniale possiamo raggiungerlo attraverso una semplificazione dell'Ires premiale. Crediamo che sia fondamentale avere uno strumento che rafforzi il patrimonio delle pmi. I numeri ci dicono che negli ultimi quindici anni le piccole e medie imprese hanno raddoppiato il proprio patrimonio. Questo ha consentito alle stesse di avere un dialogo con il mondo bancario più positivo e di finanziare gli investimenti. Oltre allo strumento di patrimonializzazione, si deve poi rafforzare il fondo di garanzia, rendere strutturale la riforma affinché possa finanziare gli investimenti in liquidità e magari aprirsi anche la finanza complementare attraverso i basket bond, che sono sempre di più uno strumento per far crescere l'azienda e per finanziarsi sul mercato. 
Quanto pesa la burocrazia? Quali semplificazioni servono davvero?
 Abbiamo bisogno di semplificare il fisco e le regole, di ridurre gli oneri verso le piccole e medie imprese, penso anche alla revisione del mondo degli appalti, quindi le leggi che riguardano gli appalti pubblici, sia in termini di beni che di servizi. Anche la spinta che viene al tema della sostenibilità da parte dell'Europa in qualche modo si deve ridurre, perché, come ha detto chiaramente Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività, bisogna ridurre gli oneri verso le imprese più piccole, dal 25 al 50%. Secondo i dati di Unioncamere, oltre 4% di piccole e medie imprese vedono nella burocrazia il primo ostacolo nel fare impresa. Sicuramente le lungaggini della pubblica amministrazione, la scarsa digitalizzazione, gli oneri burocratici che allungano tantissimo i tempi di attuazione delle norme, mettono in difficoltà le piccole e medie imprese. Su questo credo che anche nella legge annuale che abbiamo portato in discussione (5:37) alla Commissione Industria del Senato, il pacchetto semplificazioni presentato come Confindustria, che si chiama Costo Zero, vada in questa direzione. 
Quali politiche ritiene fondamentali a sostegno delle aziende italiane?
 La politica che noi riteniamo possa essere fondamentale per sostenere le piccole e medie imprese deve avere al centro la transizione digitale e tecnologica e deve servire ad aumentare la produttività delle piccole e medie imprese. Noi abbiamo bisogno di strumenti che abbiano un orizzonte di almeno 3-5 anni, con strumenti automatici, quindi credito d'imposta, possibilmente tarati verso le piccole e medie imprese, che possono aiutare le aziende verso la transizione digitale e anche sostenibile. Su questo abbiamo avuto un lungo confronto in Commissione Industria al Senato nell'audizione sulla prima legge annuale per le pmi, che noi consideriamo molto positiva, perché apre chiaramente uno spazio per costruire dei prodotti su misura per le piccole e medie imprese. Abbiamo dato una nostra visione d'insieme che mette al centro la produttività, gli incentivi agli investimenti, il sostegno al credito, la semplificazione e anche il capitale umano 
Il capitale umano è fondamentale per la crescita e la competitività del sistema produttivo italiano. Cosa fare per valorizzare le competenze, trattenere i talenti e colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro?
 Il capitale umano è l'asset primario delle nostre imprese. Abbiamo intensificato i rapporti col mondo della scuola, col mondo della formazione, col mondo universitario e anche con gli Its. Questa forma di specializzazione tecnica è all'avanguardia, il mondo dell'impresa chiede sempre di più tecnici specializzati. Abbiamo un gap di circa il 50% tra unità effettivamente disponibili sul mercato e quelle richieste dal mondo del lavoro. Come sistema industriale siamo coinvolti nel portare avanti questi percorsi di formazione che danno un'occupabilità di circa il 95%. Su questo credo che le piccole e medie imprese debbano fare di più: lavorare sull'employer branding, nella consapevolezza che all'interno delle piccole e medie imprese è possibile costruire un percorso di carriera. I giovani devono guardare non solo la grande impresa, ma soprattutto la piccola e media che vive i territori, che è una comunità di valori, di identità, di etica. All'interno di questi contesti familiari si possono trovare lavoro flessibile, competenze e quindi anche opportunità di sviluppo personale. —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

© Riproduzione riservata

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