Iniziano gradualmente a definirsi i costi dell’uscita del Regno Unito dal sistema di partenariato con l’Unione Europea. A fornire numeri molto interessanti sulla Brexit è stato proprio il sindaco di Londra, Sadiq Khan. L’occasione è stata l’aggiornamento del report annuale redatto da Cambridge Econometrics; studio commissionato proprio dal Comune di Londra a partire dal 2018.
I dati del 2023 – ma la proiezione di medio termine arriva sino al 2035 – non sono particolarmente positivi. La Brexit ha comportato un calo del 4,8% dell’occupazione, pari a 1,8 milioni di posti di lavoro, dei quali 290mila soltanto a Londra. Ad essere maggiormente diminuiti sono stati gli impieghi legati ai servizi finanziari (388mila) e quelli legati all’edilizia (523mila). I cali sono dovuti al trasferimento delle società ad interesse europeo in altri Paesi dell’area UE e alla stretta sulle norme per l’ immigrazione dall’Europa. A pesare sul tenore della vita inglese anche il maggior costo nell’importazione dei beni alimentari e quello degli affitti. L’impatto dell’uscita dal sistema UE avrebbe diminuito il reddito del cittadino medio inglese di 2000 sterline e quello londinese di 3400.
Il rapporto reso noto dal sindaco di Londra stima che da qui al 2035 la produttività del sistema economico (approssimando il termine GVA) calerà del 10,1%, di una somma pari a 311 miliardi di sterline.
Senza addentrarci qui nelle posizioni legate alla politica interna inglese (Kahn è un laburista, partito originariamente contrario all’uscita), rileva qui l’appello del sindaco a “un approccio maturo “ e “al miglioramento degli accordi commerciali con i nostri vicini europei”.
Sarebbe però falso affermare che la Brexit abbia messo in crisi l’economia inglese, che resta comunque abbastanza sana. Rimangono infatti intatti i grandi elementi strategici del Regno Unito: l’autonomia della moneta, il buon approvvigionamento energetico e la capacità di movimentazione finanziaria, che si sta rimodulando da europea ad extraeuropea.
Benché se ne parli poco, sta diventando un elemento di grande preoccupazione l’aspetto migratorio e l’integrazione. Il contestato piano Ruanda Bis ne è solo la punta dell’iceberg. La tensione sociale a Londra non è affatto da sottovalutare, con interi quartieri – già nella centralissima Kensington – dove si parla più l’arabo che l’inglese. Le periferie incendiate non sono una storia solo francese, ed a breve potremmo assistere a un ritorno delle rivolte del 2011 che imperversarono su Tottenham, Chelsea e Brixton.
Gianmaria Frati