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Povertà sanitaria, a rischio oltre mezzo milione di italiani

Oltre mezzo milione di persone, per l’esattezza 501.922 individui, si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria in Italia nel 2025, costrette a cercare aiuto per farmaci e cure che non avrebbero potuto permettersi. Questo dato equivale a più di 8 residenti ogni mille. Rispetto all’anno precedente (463.176 nel 2024), si è registrato un aumento dell’8,4%.

L’allarme emerge dal 12esimo Rapporto “Donare per curare – Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci”, realizzato da Opsan – Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico). La povertà sanitaria è in crescita, accentuata dalla spesa sanitaria dei privati che nel 2023 ha raggiunto i 40,641 miliardi di euro, circa il 23% della spesa sanitaria totale.

Chi sono i “poveri sanitari” e a cosa rinunciano

Le persone in condizioni di povertà sanitaria sono in prevalenza uomini (51,6%) e per il 58% hanno un’età compresa tra i 18 e i 64 anni. Di particolare rilievo è la quota di minori, che ammonta a 145.557 unità, pari al 29% del totale assistito. Gli anziani corrispondono invece a 109.419 persone, il 21,8%. Considerando le loro condizioni di salute, i malati acuti rappresentano il 56% del campione, superando i malati cronici (44%).

La povertà sanitaria è definita come la conseguenza della scarsità di reddito sull’accesso a quella parte delle cure che restano a carico dei cittadini, come l’acquisto di farmaci da banco e la compartecipazione alla spesa sanitaria tramite il pagamento dei ticket. I dati 2023 mostrano che le famiglie povere spendono per la salute in termini assoluti molto meno delle altre famiglie (10,66 euro mensili pro capite contro 67,97 euro). Solo il 2,1% della loro spesa totale è destinata alla sanità, rispetto al 4,4% delle famiglie non povere.

Le conseguenze economiche della salute

La spesa farmaceutica complessiva delle famiglie nel 2024 è stata di 23,81 miliardi di euro, in aumento dello 0,7% rispetto al 2023. Di questa somma, 10,16 miliardi di euro (il 42,7%) sono pagati interamente dalle famiglie, senza copertura del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn). Questa quota a carico dei cittadini, che include i farmaci da banco e i ticket (salvo esenzioni), tra il 2018 e il 2024 è cresciuta di 1,78 miliardi di euro (+21,26%).

Questa pressione economica porta a rinunce. Nel 2024, il 5,3% della popolazione (pari a 3,1 milioni di persone) ha rinunciato a visite o esami specialistici per ragioni economiche, un dato in crescita dell’1,1% rispetto al 2023. Le famiglie povere, in particolare, limitano il numero di visite e accertamenti (24,3%) o si rivolgono a medici e centri diagnostici più economici (7%) in misura superiore alle famiglie non povere (rispettivamente 10,6% e 3,7%).

Chi è costretto a limitare la spesa concentra i consumi sui farmaci (47,8% della spesa effettiva per chi ha limitato la spesa), riducendo i servizi per la prevenzione, i dispositivi, gli ausili e la riabilitazione. Marcata è la distanza di spesa per i servizi ambulatoriali dentistici.

Il ruolo del Terzo Settore e le dinamiche demografiche

Per far fronte alla crescente difficoltà economica nell’accesso alle cure, 501.922 persone si sono rivolte a una delle 2.034 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico, chiedendo gratuitamente farmaci. Il numero di enti assistenziali è in costante aumento rispetto al 2017 (+18,1%).

Analizzando la povertà sanitaria assistita, si nota che nel 2025 gli assistiti stranieri sono cresciuti del 12,9% (arrivando a 268.293), mentre gli assistiti italiani sono aumentati del 3,6% (233.629). Di conseguenza, il “peso” delle persone di origine italiana assistite scende per la prima volta da molti anni al 46,5%. Il forte aumento tra gli stranieri è stato indicato come un segnale rilevante della crescita dell’emergenza sanitaria in contesti dove l’accesso ai diritti risulta più difficile.

La sfida della sanità territoriale

La tutela della salute è sancita come diritto fondamentale dalla Costituzione italiana. Tuttavia, l’attuale sistema sanitario è criticato per essersi allontanato dalla sua ispirazione originaria, orientandosi verso una logica “prestazionale”. Si osserva che le famiglie povere spendono meno sia in termini assoluti sia in proporzione per la salute, tendendo a limitarsi all’acquisto di farmaci e rinunciando ad altre prestazioni sanitarie, con potenziali effetti negativi sulla salute a lungo termine e rischio di cronicizzazione delle patologie.

Per affrontare la cronicità (che riguarda il 40% degli italiani) e la fragilità, che richiedono un approccio centrato sul “tempo di cura” e sulla relazione, il Decreto Ministeriale 77/2022 ha rilanciato il modello delle Case della comunità (Cdc). Queste strutture, finanziate con i fondi del Pnrr per l’assistenza territoriale, mirano all’integrazione socio-sanitaria.

Nonostante gli obiettivi, lo stato di attuazione delle Cdc è in ritardo: al 30 giugno 2025, solo 660 delle 1.723 Cdc progettate (circa il 38%) avevano almeno un servizio attivo. Solamente 46 strutture (circa il 2,7%) dichiaravano attivi tutti i servizi obbligatori, inclusa la presenza medica e infermieristica. Questa lentezza nella realizzazione fa temere il rischio di creare “nuove cattedrali nel deserto”, si legge nel report, dovute alla grave carenza di medici e infermieri e alla difficoltà di superare una cultura orientata alla misurabilità dell’output piuttosto che alla qualità della relazione di cura.

La necessità di cooperazione

Di fronte a un contesto di crescente povertà sanitaria e di ritardi nelle riforme, diversi osservatori sottolineano che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) ha bisogno di un cambio di paradigma che valorizzi tutti gli attori sul territorio. Il Terzo settore, con oltre 47.000 unità organizzative nel 2022 nei settori sanità e assistenza sociale, è spesso indicato come risorsa strategica.

La normativa attuale (Codice del Terzo Settore, D.lgs. 117/2017) prevede strumenti come la co-programmazione e la co-progettazione per coinvolgere gli enti del terzo settore, superando la logica dell’appalto. Tuttavia, il coinvolgimento di questi enti nelle nuove Case della Comunità è risultato finora limitato o poco strutturato. Il successo delle Case della Comunità, e la capacità del sistema di affrontare le crescenti disuguaglianze nell’accesso alle cure, dipenderà dalla capacità di passare da un modello centrato sulla prestazione a uno fondato sulla relazione e sulla cooperazione amministrata tra tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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