C’è un’Italia che non si arrende al calendario, e l’Istat ne misura con precisione i contorni. È quella dei 23.548 centenari registrati al 1° gennaio 2025, più di duemila in più in un solo anno. Nel 2009 erano appena 10.158. In sedici anni la popolazione ultracentenaria è più che raddoppiata: +130%. Non un dettaglio statistico, ma il segno tangibile di un Paese che, pur in declino demografico, continua a produrre longevi.
A trainare la crescita, ancora una volta, le donne: l’82,6% dei centenari è di sesso femminile. Tra chi supera i 105 anni la quota sale al 90,7%, e fra i 19 supercentenari, cioè gli over 110, diciotto sono donne.
Il passo avanti più netto si deve alla coorte del 1919, entrata quest’anno tra i semi-supercentenari e numericamente più consistente delle generazioni nate durante la Grande guerra. Gli over 105 sono saliti a 724, dai 654 del 2024.
Il confronto con il passato mostra quanto la sopravvivenza estrema sia diventata una traiettoria reale: tra i nati del 1903, solo 20 ogni 100mila hanno raggiunto i 105 anni; tra quelli del 1919 sono quasi 50.
Una progressione lenta ma costante, che spiega perché l’Italia resti, nonostante tutto, uno dei laboratori naturali della longevità mondiale.
Dietro i numeri, un paradosso: mentre cala la natalità e si svuota la fascia giovanile, cresce il contingente di chi oltrepassa il secolo. L’asse demografico del Paese si sposta verso l’estremo più inatteso della curva vitale.
Dove vivere più a lungo è la norma
Non tutte le regioni invecchiano allo stesso modo. Lombardia guida in valore assoluto, con quasi 4mila centenari. Subito dietro Lazio ed Emilia-Romagna, entrambe sopra i duemila. Ma il primato reale, quello che misura la longevità relativa, si gioca altrove. In cima alla graduatoria 2025 c’è il Molise, con 61 centenari ogni 100mila residenti. Una leadership simbolica, frutto anche della scala ridotta della popolazione, ma che accende i riflettori su un’Italia interna dove l’età estrema non è più un’eccezione.
La Liguria, invece, resta la regina storica della longevità: 59,4 centenari ogni 100mila abitanti, un’età media che sfiora i 50 anni e una costanza che la colloca stabilmente tra le regioni più anziane d’Europa. Seguono Friuli-Venezia Giulia (55,4) e Toscana (49,1).
Tra le province, la palma va a Isernia, 78,7 centenari ogni 100mila abitanti. Poi Nuoro (65,5), Siena e Gorizia (63,5), e le tre liguri: Imperia (61,2), Genova (61,1), La Spezia (61,0).
La Sardegna conferma il suo mito demografico: tra la Barbagia e l’Ogliastra, la Blue Zone continua a produrre record. Nuoro primeggia anche tra i semi-supercentenari con 4,6 over 105 per 100mila residenti, davanti ad Ascoli e Imperia.
Quest’anno spicca anche la Valle d’Aosta, improvvisamente balzata in testa per concentrazione di over 105: 2,4 ogni 100mila abitanti, quando nel 2024 era in fondo alla classifica.
Un dato più discreto, ma forse il più rivelatore: il 91% dei supercentenari vive ancora in famiglia. Non in RSA, non in strutture sanitarie. Nella propria casa, o in quella dei figli. È lì che si gioca la tenuta quotidiana della longevità: assistenza personalizzata, abitudini immutate, equilibrio fragile ma ancora domestico. In un Paese che invecchia, la rete familiare resta il primo e ultimo presidio di sopravvivenza.
Uomini e donne oltre il secolo
Nel quindicennio 2009-2025, 8.980 italiani hanno superato i 105 anni: 7956 di loro sono donne. L’età estrema ha un volto quasi esclusivamente femminile e un destino sociale preciso: la vedovanza.
L’86% delle ultracentenarie ha perso il partner, contro l’80% degli uomini. Le nubili sono il 12%, i celibi appena il 6%. Ma tra i coniugati lo squilibrio si ribalta: il 14% degli uomini over 105 vive ancora con la moglie, mentre tra le donne la percentuale di coniugate precipita all’1%.
Il vantaggio biologico femminile si traduce in solitudine più lunga, l’eccesso di mortalità maschile in un paradossale privilegio relazionale.
La fotografia anagrafica mostra anche un’altra Italia, quella dei Giuseppe e delle Maria. Nomi che hanno attraversato guerre e ricostruzioni, ma che oggi non nascono più: nel 2023 solo lo 0,4% delle neonate si chiama Maria e l’1,3% dei maschi Giuseppe. È la genealogia della longevità, impressa nei registri civili.
I supercentenari – oltre i 110 anni – sono 222 nel periodo 2009-2025. Solo 17 uomini. Al 1° gennaio 2025, ne sopravvivono 19, uno solo di sesso maschile. Il decano d’Italia, 111 anni, vive in Basilicata. La decana, 115, è in Campania.
Sul piano mondiale, il primato attuale spetta a Ethel Caterham, britannica di 116 anni, e al brasiliano João Marinho Neto, 112.
Ma la storia della longevità è scritta dalle donne: su dieci record assoluti, dieci nomi femminili. In cima, Jeanne Calment, morta a 122 anni nel 1997. L’unica italiana nel gotha mondiale è Emma Morano, vissuta 117 anni. Gli uomini restano confinati nei registri sardi: Antonio Todde (112 anni e 346 giorni) e Giovanni Frau (112 e 172). Nati, cresciuti e morti nella stessa isola che continua a sfornare longevi come un laboratorio genetico a cielo aperto.
L’ultima soglia
C’è un punto in cui la biologia sembra rallentare. L’Istat lo colloca attorno ai 105 anni, soglia in cui il rischio di morte smette di crescere in modo esponenziale. Fino a quella età, la curva è ripida: tra i 75 e gli 82 anni la probabilità di morire passa dal 2,3% al 5,2%; tra gli 85 e i 92 salta al 17,9%; tra i 92 e i 105 raggiunge il 50%. Poi si stabilizza.
Oltre i 105 anni, la probabilità di non vedere il compleanno successivo resta quasi costante: 48% a 105 anni, mai oltre il 60% fino ai 112, con un picco al 67% solo a 115.
Gli studiosi parlano di plateau di mortalità: una zona piatta, dove il rischio non cresce più. Chi entra in quella fascia ha superato un filtro biologico selettivo – una combinazione di genetica, ambiente, fortuna e resistenza individuale – che lo protegge dal crollo improvviso.
È l’élite estrema della specie, minuscola ma costante. Persone nate quando l’Italia aveva la febbre spagnola e la radio era una novità, oggi ancora vive, luci isolate dentro un Paese che invecchia e si restringe. L’Istat lo scrive con prudenza, ma il dato è inequivocabile: “superati i 105 anni, sopravvivere o morire ha all’incirca la stessa probabilità”. In altre parole, chi è arrivato fin lì ha già battuto il tempo.
—
Popolazione
content.lab@adnkronos.com (Redazione)


