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Condizioni estreme a Gaza: come il freddo minaccia la vita dei neonati

Il 10 ottobre 2025 è entrata in vigore una fragile tregua nella Striscia di Gaza.

Sebbene l’accordo abbia portato a una riduzione degli attacchi su larga scala, i dati raccolti dalle organizzazioni umanitarie e dalle autorità sanitarie locali rivelano che la mortalità non si è arrestata, ma ha cambiato volto. Alle vittime delle violazioni del cessate il fuoco si stanno sostituendo quelle causate dalle condizioni ambientali estreme.

Con l’arrivo dell’inverno e della tempesta “Byron” che ha colpito la regione a metà dicembre, l’assideramento è diventato una nuova, concreta causa di decesso, soprattutto per i neonati.

Quanti morti a Gaza durante la tregua 

Dall’inizio del cessate il fuoco, ci sono state oltre mille vittime tra violenza diretta e cause indirette legate al collasso delle infrastrutture e al clima:

  • Morti per attacchi bellici: secondo il Ministero della Salute palestinese, nonostante la tregua, si registrano almeno 400 decessi legati a violazioni dell’accordo, raid mirati o ferite pregresse;
  • Morti per fame e malattie: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha segnalato che, nel periodo recente che include la tregua, oltre mille pazienti sono deceduti in attesa di evacuazione medica o per mancanza di cure essenziali. Sono 127 i decessi accertati per malnutrizione e disidratazione dall’inizio del conflitto, con un allerta costante nelle ultime settimane;
  • Morti per assideramento e maltempo: dal 10 ottobre a oggi, le autorità sanitarie e le Ong riportano 13 decessi direttamente collegati alle condizioni meteorologiche avverse e al freddo. Tra questi, il caso documentato del neonato Mohammed Khalil Abu al-Khair, morto il 16 dicembre per grave ipotermia. Nel solo mese di dicembre, sono 4 i bambini deceduti per il freddo.

Il fattore climatico: la tempesta “Byron” sulle tende dei palestinesi 

Da metà dicembre, la Striscia di Gaza è stata investita dalla tempesta “Byron”, che ha portato piogge torrenziali e venti forti su un territorio dove il 90% della popolazione è sfollata. Le temperature notturne sono scese fino a 7-8°C: temperature proibitive per chi vive in tende di fortuna, spesso realizzate con teli di plastica e prive di isolamento termico o pavimentazione, dove l’umidità e il vento azzerano la capacità di termoregolazione. L’acqua stagnante ha invaso i campi profughi, inzuppando abiti e coperte che, in assenza di elettricità o combustibile per il riscaldamento, non possono essere asciugati.

Assideramento, cosa succede al nostro organismo? 

L’ipotermia, o assideramento, è una condizione medica di emergenza che si verifica quando il corpo disperde calore più velocemente di quanto riesca a produrne, portando la temperatura interna al di sotto dei 35°C.

In un contesto come quello di Gaza, privo di strutture mediche operative e con una popolazione gravemente malnutrita, il processo fisiologico verso il decesso accelera drasticamente.

Da un punto di vista scientifico, l’assideramento può generare una pericolosa reazione a catena:

  1. Esaurimento delle riserve energetiche (Fase I – 35°C/32°C corporei): in condizioni normali, il corpo reagisce al freddo con i brividi (termogenesi muscolare) per generare calore. Tuttavia, la popolazione di Gaza soffre di malnutrizione cronica e quindi non ha un adeguato apporto calorico, il corpo non ha le riserve di glicogeno necessarie per alimentare i brividi. Questo rende la prima difesa dell’organismo inefficace quasi subito;
  1. Centralizzazione del circolo e danni ai tessuti: per proteggere gli organi vitali, il corpo restringe i vasi sanguigni periferici (vasocostrizione), riducendo l’afflusso di sangue a mani e piedi. Senza vestiti asciutti e caldi, questo porta rapidamente a congelamento delle estremità e necrosi dei tessuti;
  1. Collasso metabolico (Fase II – sotto i 32°C): quando la temperatura scende ulteriormente, i brividi cessano. Il metabolismo rallenta. Il cuore inizia a battere in modo irregolare (aritmia) e la frequenza respiratoria diminuisce. In questa fase, il livello di coscienza si altera e il soggetto viene affetto da uno stato di confusione e letargia;
  1. Arresto cardiorespiratorio (Fase III – sotto i 28°C): in assenza di intervento medico (riscaldamento attivo, fluidi caldi endovena), subentra l’incoscienza. Il cuore, ormai ipossico e freddo, va in arresto cardiaco o fibrillazione ventricolare, portando alla morte dell’organismo.

La combinazione di malnutrizione (che impedisce la produzione di calore), mancanza di ripari asciutti (l’acqua fa disperdere il calore dal corpo venticinque volte più velocemente dell’aria) e assenza di cure mediche rende letali temperature che, in altri contesti, sarebbero considerate semplicemente invernali.

Differenze nell’assideramento: perché i neonati rischiano di più

Sebbene il freddo estremo sia pericoloso per chiunque, la fisiologia dei neonati li rende vittime molto più rapide dell’ipotermia rispetto agli adulti. La differenza principale risiede nel rapporto superficie-massa: i bambini hanno una superficie corporea proporzionalmente tre volte più ampia rispetto al loro peso, il che significa che disperdono calore verso l’esterno molto più velocemente di quanto riescano a trattenerlo.

Inoltre, i neonati non sono in grado di avere i brividi e di accedere alla cosiddetta termogenesi da brivido, una contrazione muscolare involontaria che genera calore. A differenza degli adulti, i neonati si affidano esclusivamente alla scissione metabolica del “grasso bruno”, una riserva energetica limitata che si esaurisce rapidamente, specialmente se il bambino è già sottopeso o malnutrito.

Inoltre, il sistema di termoregolazione ancora immaturo non permette loro di stringere efficacemente i vasi sanguigni periferici per preservare il calore agli organi vitali, portando al collasso metabolico in tempi drasticamente ridotti, come dimostrano le cronache di questi giorni.

Il trattamento medico dell’ipotermia e l’impossibilità di cura a Gaza

In condizioni sanitarie standard, il trattamento dell’ipotermia moderata o grave richiede un intervento immediato e sofisticato. La prima fase del protocollo medico prevede il riscaldamento attivo interno attraverso la somministrazione di fluidi endovenosi riscaldati (soluzioni saline a 40-42°C), ossigeno umidificato caldo e, nei casi più critici, procedure di lavanda gastrica o vescicale con liquidi caldi per innalzare la temperatura centrale del corpo.

A Gaza, l’applicazione di questi protocolli è diventata quasi impossibile. La maggior parte degli ospedali non è operativa o funziona a regime ridotto per mancanza di carburante, impedendo l’uso di riscaldatori per fluidi e incubatrici neonatali, essenziali per la sopravvivenza dei bambini colpiti da ipotermia. La carenza cronica di elettricità rende difficile anche solo mantenere caldi gli ambienti di degenza, trasformando condizioni mediche reversibili in condanne a morte, poiché un corpo in ipotermia grave non è in grado di “ripartire” autonomamente senza un supporto termico esterno.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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