“Sono aggressiva, manesca. Quando mi parte ‘la sudamericana’… i miei fidanzati li ho menati tutti. De Martino è quello che ne ha prese di più”, fanno discutere sui social le parole pronunciate da Belén Rodriguez che, ospite di Belve su Rai 2, ha ironizzato sul modo di trattare i suoi ex fidanzati. A provocare le critiche degli utenti non sono state solo le sue parole, ma anche il tono leggero e non titubante con cui le ha pronunciate, pur trattandosi di violenza domestica.
Altri utenti sottolineano che una donna che picchia non può essere paragonata a un uomo che picchia, dato il gap fisico. Difficile capire nello specifico cosa intenda la showgirl argentina con il verbo “menare”, ma è lei stessa a fare un esempio: “A uno gli ho lanciato un cactus! Qualche graffio…in Argentina le cose si risolvono così”, ha spiegato.
I commenti sui social
Non sono solo gli uomini a criticare il fatto che le parole di Belén non abbiano fatto scalpore in tv: “Raga scusate, ma se queste cose le avesse dette un uomo?” chiede una ragazza commentando un post su Instagram. E ancora: “Una vera signora!! Fosse stato il contrario sarebbe stato uno scandalo (giustamente) ma anche questa è violenza”, “Non ti fa onore. Le mani non si alzano mai. Un rapporto senza rispetto non durerà mai”. Più risentiti gli utenti di genere maschile, che chiedono parità di trattamento: “Se l’avesse detto De Martino sarebbe scoppiato il putiferio”, “due pesi, due misure” si legge ancora sui social.
Una utente, in particolare, invita a riflettere su come ripudiare la violenza domestica sempre, a prescindere da chi la compia, sia il primo passo per combatterla a tutti i livelli: “Nessuna denuncia? Poi vogliamo educare gli uomini all’affettività e al rispetto”, scrive.
Perché la violenza delle donne è considerata meno grave
La violenza esercitata dalle donne viene percepita come meno grave rispetto a quella maschile a causa di una serie di meccanismi psicologici e sociali radicati, come evidenzia la ricerca sociologica del Comune di Torino (“La percezione della violenza alle donne e l’incidenza del fenomeno”, Balsamo e Filandri), uno degli studi più rigorosi sull’argomento.
Da una parte, influiscono concetti di lunga data che associano la forza fisica, la pericolosità e la potenza in senso lato al genere maschile, rendendo più difficile riconoscere una donna come aggressore o come portatrice di danno. La tendenza a minimizzare o giustificare comportamenti violenti femminili trova infatti terreno fertile in una cultura che sovrappone al ruolo di vittima una sorta di “innocenza di genere”.
Uno degli aspetti centrali sollevati dall’indagine torinese è il radicamento della “tolleranza” verso la violenza nei rapporti intimi, tanto che il 32% del campione giustifica almeno una circostanza violenta, generalmente di entità lieve come uno schiaffo. In molti casi, lo stereotipo che descrive la donna come priva di pericolosità fisica porta a una sorta di deresponsabilizzazione sociale, secondo cui l’atto violento femminile non sarebbe capace di produrre danni veramente gravi – una percezione che, a livello subconscio, alimenta l’indulgenza collettiva.
Questa percezione è rafforzata dall’altissimo numero di femminicidi che si consumano nel mondo e nel nostro Paese: nella stragrande maggioranza dei casi a finire in tragedia sono le violenze domestiche perpetrate dagli uomini verso le donne, e non viceversa.
Secondo dati Istat, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subìto nella propria vita almeno una forma di violenza fisica o sessuale, con 1,2% vittima di stupri o tentati stupri solo negli ultimi cinque anni, mentre i dati sulla violenza perpetrata da donne contro uomini sono di gran lunga inferiori sia per numero sia per ripercussioni fisiche.
Come mette in luce la rassegna di letteratura curata dall’Irpps-Cnr nell’ambito del progetto ViVa, il doppio standard è amplificato dalle strutture di potere nelle relazioni di genere; la violenza maschile è statisticamente molto più frequente, più grave e letale, fattore che ha portato a una maggiore attenzione pubblica e politica sul fenomeno. Gli studi internazionali citati dalla rassegna sottolineano come motivazioni, effetti e significati della violenza agita dagli uomini siano di fatto non comparabili a quelli della violenza femminile; nel caso degli uomini, la violenza è spesso finalizzata al controllo, e spesso ha conseguenze gravissime.
Il ruolo della sensibilizzazione
La letteratura scientifica sottolinea che sensibilizzare sulla violenza agita dalle donne è utile anche per contrastare quella maschile, perché rende più chiaro il quadro delle dinamiche di potere e dei ruoli relazionali, impedendo che si rafforzino narrazioni polarizzate che rischiano di banalizzare il fenomeno nel suo complesso.
Nello specifico, la ricerca del Comune di Torino evidenzia che riconoscere ogni forma di violenza, indipendentemente dal genere di chi la esercita, aiuta a scardinare i meccanismi culturali che giustificano, tollerano o minimizzano la violenza maschile nella coppia o in famiglia, favorendo una maggiore responsabilizzazione individuale e collettiva.
Gli studi spiegano che una visione equa e consapevole delle dinamiche violente previene la costruzione di “alibi sociali” e consente di mettere al centro il rispetto reciproco e le strategie di prevenzione, agevolando l’emersione e la condanna chiara di ogni comportamento lesivo. In questo modo, promuovere campagne inclusive e non polarizzate viene considerata una strada per promuovere nuovi strumenti che facciano emergere e combattere la violenza maschile, privandola di quelle giustificazioni culturali che ancora oggi la alimentano.
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